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Francesco in Kazakhstan.  Colloquio con il vescovo Adelio Dell’Oro

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“Noi cattolici, secondo le nostre capacità e sensibilità, cerchiamo di cooperare al cammino di pace, armonia e sviluppo, principalmente lungo tre direzioni: la bellezza, l’aiuto disinteressato e la preghiera”. 
Con il suo intervento all’incontro promosso online stamattina dall’Associazione ISCOM (presenti una trentina di giornalisti vaticanisti), monsignor Adelio Dell’Oro, vescovo di Karaganda (Kazakhstan), contribuisce a fare luce su alcuni temi legati al prossimo viaggio di Papa Francesco: l’origine e i propositi del VII Congress of leader of world and traditional religions (l’evento che riunisce diversi capi religiosi provenienti da tutto il mondo); la presenza della Chiesa cattolica nel Paese ex sovietico.

Nato a Milano nel 1948, Dell’Oro è stato per 25 anni coadiutore in due parrocchie della diocesi del capoluogo lombardo. Nel 1997 è partito come missionario fidei donum per il Kazakhstan, dove è rimasto fino al 2009, quando è rientrato in Italia. Prorettore del collegio Guastalla di Monza e residente presso la parrocchia di Cambiago, alla fine del 2012 è stato nominato vescovo con la carica di amministratore apostolico di Atyrau. Dal 31 gennaio 2015 è vescovo di Karaganda.

“Accogliendo l’invito delle autorità civili ed ecclesiali, Papa Francesco compirà l’annunciato viaggio apostolico in Kazakhstan nei giorni dal 13 al 15 settembre”. Così, a inizio agosto, una dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ufficializzava la visita del Santo Padre presso la città di Nur-Sultan in occasione del VII Congresso dei leader delle fedi mondiali e tradizionali, chiamati a confrontarsi sullo sviluppo socio-spirituale dell’umanità nel post pandemia e nel quadro della convulsa attualità geopolitica. 
“Un Congresso – spiega Dell’Oro – organizzato per la prima volta nel 2003, in coincidenza con il secondo anniversario del viaggio apostolico di Giovanni Paolo II (22-27 settembre 2001), dall’allora presidente della Repubblica Nursultan Abievich Nazarbaev, proprio su ispirazione di papa Karol Wojtyła, che due anni prima, rivolgendosi alla gioventù kazaka, aveva invitato musulmani e cristiani a costruire una ‘civiltà basata sull’amore’ e a fare del Kazakhstan, ‘un Paese nobile, senza confini, aperto all’incontro e al dialogo’”. 
Il modello? La ‘Giornata di preghiera per la pace’ nel mondo convocata ad Assisi da Giovanni Paolo II nel gennaio 2002, con lo scopo di riaffermare il contributo positivo delle diverse tradizioni religiose al confronto e alla concordia tra popoli e nazioni dopo le tensioni seguite agli attentati dell’11 settembre 2001. 
Da allora, dal 2003, il Congresso si è tenuto regolarmente ogni tre anni, con l’eccezione della settima edizione, rimandata di un anno a causa della pandemia, e si svolgerà nel Palazzo della Pace e della Riconciliazione. L’iniziativa è divenuta nel tempo un momento catalizzatore del dialogo tra fedi e culture a livello mondiale, per favorire la risoluzione delle controversie religiose e politiche. Di quattro anni fa (ottobre 2018), il Congresso più recente, cui hanno preso parte le delegazioni di 45 Paesi.

“In primo luogo – riflette Dell’Oro – c’è bisogno che i capi religiosi stabiliscano relazioni di prossimità più forti e più strette in un tempo nel quale le religioni stesse sono sfidate: il grande tema dell’esclusione di Dio dalle società moderne sta investendo in modo significativo le religioni, che devono ritrovare la capacità di essere credibili in questo tempo. C’è poi la questione dell’interesse delle nuove generazioni, sempre meno attratte dall’elemento religioso e dalle tradizioni che le religioni rappresentano. C’è dunque il tema della credibilità delle religioni a partire dall’assunto fondamentale: come si fa esperienza di Dio? Come si fa esperienza di fede? Come si può apprezzare il valore delle religioni? Le religioni sono per la pace”.

Pace che si costruisce anche attraverso l’incontro diretto e personale tra leader. Sotto questo profilo, il vescovo di Karaganda non nasconde il proprio rammarico – “mi addolora” – per la mancata partecipazione del Patriarca di Mosca Kirill al Congresso in Kazakhstan: “sarebbe stato un contributo notevole, non avrebbe potuto evitare di confrontarsi con Papa Francesco”, per porre fine a quella che lo stesso Pontefice ha definito “una guerra di speciale gravità, sia per la violazione del diritto internazionale, sia per i rischi di escalation nucleare, sia per le pesanti conseguenze economiche e sociali. È una terza guerra mondiale a pezzi”.

D’altro canto, al fine di consolidare i rapporti tra Cina e Santa Sede, “è da accogliere con favore – a giudizio di Dell’Oro – la notizia secondo la quale il presidente Xi Jinping dovrebbe visitare il Kazakistan lo stesso giorno in cui Papa Francesco sarà nel Paese dell’Asia centrale la prossima settimana”.

Grandi le aspettative legate alla venuta di Papa Francesco in Kazakhstan dal punta di vista proprio della comunità cattolica, in un Paese all’80% di tradizione musulmana, tenuto conto che la fede cristiana, nella forma cattolica, per circa 60 anni è stata comunicata nella quasi totale assenza di sacerdoti e perciò dei Sacramenti, se si eccettua il Battesimo, che veniva per lo più amministrato clandestinamente. “Durante l’epoca sovietica – sottolinea Dell’Oro – non c’erano strutture ecclesiastiche. Poi sono apparsi dei sacerdoti semiclandestini, sopravvissuti ai lager, tra cui il beato Władysław Bukowiński, beatificato l’11 settembre 2016 a Karaganda, o arrivati dalla Lituania. Dopo il 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la nascita del Kazakhstan come stato indipendente, come tutte le altre religioni, anche la Chiesa cattolica è potuta venire alla luce dal sottosuolo; sono stati invitati sacerdoti e suore dalla Polonia, Germania, Slovacchia, ecc. e si sono potute costruire, insieme agli edifici di culto, anche le strutture ecclesiastiche”.

Antonino Piccione

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